Thursday, 27 November 2008


"La memoria è dinamica, è viva. Riempie tutti i buchi del passato, anche con ricordi irreali".



Io ho la fortuna, voluta, di vivere a Londra e questa città a me “fa molto”. Inteso come luogo che condiziona umore, abitudini, pensieri e scansione del tempo. I luoghi, in generale “fanno molto”. I luoghi che cambiano aspetto hanno un potere ancora maggiore di incidere sulle percezioni.


Ieri sera sono andato al Barbican a vedere “Waltz with Bashir”, un nuovo eccezionale film israeliano, un documentario a figure animate diretto da Ari Folman.


Siamo a Beirut, nel 1982, durante la guerra civile. Il titolo del film si riferisce alla folle danza, con mitra, di un soldato, che spara all’impazzata, sotto il ritratto gigante di Bashir Gemayel, il politico libanese ucciso in un attentato prima dell’investitura a Presidente della Repubblica. Per vendicarlo, i falangisti cristiani massacrarono migliaia di profughi palestinesi nei campi di Sabra e Shatila, con la complicità involontaria dei soldati israeliani che li lasciarono fare e addirittura facilitarono loro il compito illuminando la notte con i bengala. Il regista israeliano Folman, che all'epoca aveva vent'anni e faceva parte delle truppe che avevano circondato gli insediamenti, ha completamente rimosso dalla propria mente quegli eventi.


Incontra in un bar un amico di vecchia data, che gli racconta un incubo ricorrente, in cui è inseguito, nella notte, da un branco di ventisei cani inferociti. Ha la certezza del numero perchè, quando l'esercito israeliano occupava una parte del Libano, a lui, evidentemente ritroso nell'uccidere gli esseri umani, era stato assegnato il compito di uccidere i cani che di notte segnalavano abbaiando l'arrivo dei soldati. I cani eliminati erano giustappunto 26. In quel momento Folman si accorge di avere rimosso praticamente tutto quanto accaduto durante quei mesi che condussero al massacro portato a termine dalle Falangi cristiano-maronite nei campi di Sabra e Chatila. Decide allora di intervistare dei compagni d'armi dell'epoca per cercare di ricostruire una memoria che ognuno di essi conserva solo in parte cercando di farla divenire patrimonio condiviso.


Folman affronta con coraggio uno dei nervi scoperti della storia recente della democrazia israeliana. Non è però interessato a distribuire patenti di colpevolezza senza prove (sono note le accuse all'allora Ministro della Difesa Ariel Sharon considerato responsabile del fatto di aver saputo e taciuto, se non addirittura favorito).


Folman scava più a fondo e decide di realizzare un documentario rivolto a un pubblico di nicchia. Racconta allora utilizzando un'animazione inusuale ma efficace che riesce a restituire il work in progress di un rimosso e passa a focalizzare una realtà orrenda che, proprio perchè tale, era stata espunta dal ricordo del singolo e della collettività. Chiedendo aiuto ad uno psicologo, che gli spiega i meccanismi misteriosi della memoria, Ari decide di dissotterrare quelle memorie e parte alla ricerca dei suoi commilitoni. Dai ricordi frammentari e dalle immagini evocate dagli amici, anche Ari inizierà a recuperare stratificazioni di memorie, sogni surreali, fino al ricordo completo: una sorta di seduta collettiva che aiuterà a fare chiarezza al regista e al pubblico stesso. “La memoria” come dice lo psicologo “può essere molto creativa. Quando è necessario, si inventa un passato”. Come ci si può aspettare, nel film il soldato protagonista è in un certo senso una vittima. Fa parte di una grande macchina bellica, “esegue gli ordini”. Il soldato individuale è impotente, non può fermare il massacro ma solamente riferirlo ai suoi superiori. In alternativa può “sparare e piangere” a posteriori oppure, come nel caso di Folman può affrontare amnesia o repressione.


Realizzato in modo bello ed intelligente, l’intero film è a figure animate tranne una scena (che non ne svelerò certo qui il contenuto per non “rovinarvi” la sorpresa) che sembra stare lì a dirci “Signori e signore, il seguente filmato non è una memoria personale. Questo è quanto è successo sotto i nostri occhi”.


Io per fortuna la guerra non l’ho mai vissuta e tanto meno sono stato un soldato… mi sono ritrovato comunque con le lacrime agli occhi sia mentre guardavo il film, sia dopo.


Chissà se un film del genere uscirà mai in Italia e se mai uscirà verrà sicuramente doppiato… Come se si potessero doppiare le grida delle madri palestinesi con le carcasse dei propri figli tra le braccia. Comunque, anche doppiato, andate a vederlo, per favore perché l’idea della guerra di Folman va oltre il sostenere una tesi anti-Israele o meno: il regista incentiva il recupero di una memoria scomoda e si scaglia contro ogni guerra, e contro quelle persone che mandano in battaglia i giovani, verso la paura e il dolore.


Claudio

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