Friday, 31 October 2008

Scary Mary




Mary Poppins, bambinaia volante con ombrello parlante e inguardabili scarpe rosse, rappresenta tutto ciò che di male può esserci al mondo.


Per chi, come il sottoscritto, è parte integrante di quella generazione cresciuta a cartoni animati e relative sigle nei meravigliosi anni ottanta la rottura di un processo di sublimazione deve necessariamente partire dal fare a pezzi quella donna e il mondo che attorno a sé vorrebbe creare. Mary Poppins non ci propina il mito dell’eterno fanciullo, Mary Poppins non sogna un’umanità fatta di bambini, Mary Poppins vuole che i bambini diventino uomini mantenendo l’animo pronto allo stupore dei fanciulli: Mary Poppins è allora l’avanguardia della società a una dimensione, ciò che desidera è l’annullamento della coscienza critica. Ci si presenta discendente dalle nuvole mentre si imbelletta. Porta con sé il già citato ombrello a cui verrà affidata a fine film la “morale” della storia (un luogo comune dei più beceri che il bambino meno sveglio del pianeta ha già intuito durante i titoli di testa), e una borsa che poi scopriremo essere fatta con un tappetto: ATTENZIONE! non si tratta di riciclaggio, quella borsa può contenere (forse contiene) ogni cosa: la borsa è la delocalizzazione occultata che preserva il sereno occidente da un sacrosanto senso di colpa.


Prima scena: Bert, squattrinato artista, vestito come un deficiente sta intrattenendo un’allegra combriccola di attempati borghesi benestanti. Dice di recitare poesie comiche ma fa invece l’esatto contrario: sublima la realtà, o semplicemente mediante complimenti a sfondo vagamente sessuale: “lei ha solo due figlie ma… fan per sei” o più subdolamente dando titoli, potremmo dire epicizzando, le più comuni e umani attività: “Miss Lark/ va a passeggio/ nel parco/ con John” (aiutami a dire ‘sti cazzi), anticipando in qualche modo il minimalismo americano ma altrove rallegrandosi anche dell’uso della rima sbeffeggiando così le nascenti avanguardie. Allo spettacolino assiste imperturbabile una guardia che ovviamente non interviene (Mary Poppins non è un film, è un teorema), le masse borghesi soddisfano il loro impulso “artistico” e nessuno si è fatto male: tornate pure a casa. Ma ecco che mentre Bert sta per recitare la sua poesia ad una racchiona con paglietta qualcosa succede (era troppo anche per lui), il comico diventa un lirico, quasi un elegiaco e da perfetto idiota esprime allora la sua gioia stampandosi un piatto in faccia: tanto più stravagante tanto più artista, giubilo fra i borghesi.


L’incontro successivo è con l’ammiraglio Boom, un vecchio arteriosclerotico che in compagnia del suo mozzo obeso cannoneggia a salve il quartiere “bene” dove risiede la famiglia dei due piccoli protagonisti.


Ma veniamo alla famiglia Banks: incontriamo in primo luogo le due domestiche che si scannano come cane e gatto (in seguito all’arrivo di Mary Poppins andranno d’amore e d’accordo mandando a farsi benedire la sacrosanta rabbia sociale che prima o dopo si sarebbe altrimenti indirizzata contro il giusto bersaglio). Arriva la madre cantando: bambolina casalinga cerebrolesa e succube del marito che ironicamente si batte per la conquista del suffragio femminile (il suo compito consiste nel tirare ortaggi contro il primo ministro, figuriamoci se le donne potevano avere un serio progetto politico).


Thursday, 30 October 2008

I was lost in your eyes while standing still.



I was lost in your eyes while standing still.


As I close my eyes I still see your face with its every line and delicate detail, you are embedded in my mind. Did I trip, lose my balance, did I let you go too soon? I reach out for your touch every time you were near, though my hand does not move, my heart throbs, wanting you to love me too. My breath has turned mellow yet a moment ago when you walked by I could feel the humid from my tongue.


You make me so nervous but you make me feel so human. You compare nothing to my fantasy.


Oh to kiss again your lips would be beautiful and would bring a spark to my eyes, but I can only fantasize today.


Did I say too much, or I did not say enough?
Claudio.


Wednesday, 29 October 2008

Lo stato delle cose.




E' andando via che si rimane…


Non tutto ciò che viene fatto per Amore è comprensibile.


Quasi tutto è giustificabile. Il male che si fa a sè stessi, gli errori ripetuti fino allo sfinimento, le valige fatte di fretta, le assenze ingiustificate, le presenze, che spesso, lo sono ancora di più, le lettere che sostituiscono la voce, la voce che dice stronzate, le canzoni degli altri che ti sembra di averle capite e che ti sembra abbiano capito te.


Non è col sensazionalismo che si guarisce. Non si dimentica l’Amore prendendo un aereo o un’ eurostar. Non è percorrendo distanze enormi senza toccare il terreno che ci si allontana da ciò che punge. La strada fatta a piedi porta fatica ma insieme pure consapevolezza, prima dei centimetri, poi dei metri e dopo ancora, perfino dei chilometri fatti.


Piano piano. Come dicono gli anziani.


E’ solo andando via piano piano che ci si volta a guardare quello che rimane.


Claudio.